martedì 10 novembre 2009

CAOS E MANAGEMENT - IV parte e fine.

Se avete avuto la pazienza di leggere i tre post precedenti, potete comprendere come, visto che i sistemi non-lineari e complessi sono molto più imprevedibili di quelli semplici e lineari, l'intera nozione di pianificazione basata sulla predizione di eventi futuri debba essere ripensata. Un detto popolare sembra avere piena coscienza di questa caratteristica dei sistemi non-lineari: “Se vuoi far ridere Dio, parlagli dei tuoi piani”. Quindi, dato che nessuno ha la sfera magica, è più utile strutturarsi in modo da accettare l'imprevedibilità, reagire velocemente, adattarsi ai cambiamenti quando si presentano e interpretare il potenziale di futuri mutamenti in modo efficace, piuttosto che attrezzarsi per qualcosa che non verrà mai e che forse, se verrà, sarà soverchiante. Chi ha letto “Il deserto dei Tartari” di Buzzati sa cosa intendo.
La miglior strategia generale per il successo è sviluppare una forma mentis organizzativa che veda l'organizzazione come un complesso sistema adattivo. Quando l'organizzazione è capace di rispondere in modo adattivo, il caos genera creatività.

Il ruolo della creatività è la produzione spontanea di idee che potrebbero implicare nuove iniziative d'affari per l'organizazione. Tipicamente, le nuove idee generano instabilità nell'organizzazione perchè possono comportare deviazioni dai piani precedenti e la ridirezione di energie che erano dedicate al raggiungimento degli obiettivi prefissati dal management. E’ proprio questo processo che alla fine produce alcune rotture estremamente produttive. In questo senso, possiamo dire che la creatività genera caos.

Senza il caos non può nascere nulla di nuovo. La vita stessa è basata proprio su sistemi non-lineari: il battito cardiaco di una persona sana non ha periodicità costante, come si è sempre ritenuto; anzi, il battito cardiaco costante spesso preannuncia situazioni patologiche per l'individuo, come l'infarto.

Attrattori e Biforcazioni

Il concetto di attrattore ci torna ora utile per capire perché i dipendenti di un’azienda si comportano in un determinato modo. Ciascuno, all'interno di una organizzazione, si comporta sempre secondo gli attrattori presenti in tale sistema non-lineare. D’onde la conclusione che i dipendenti non sono mai “resistenti” al cambiamento: semplicemente essi agiscono in base agli attrattori. Il problema per un manager non è quindi come superare le resistenze dei dipendenti; invece, la sfida che egli si trova di fronte è come adoperarsi affinchè nuovi, più efficaci attrattori emergano. I leaders capaci hanno sempre saputo come fare ciò in modo intuitivo, sviluppando condizioni organizzative in cui i dipendenti erano “attratti” a lavorare produttivamente, con buona qualità e con soddisfazione. Quando capitano impedimenti nell'efficacia organizzativa, i leaders efficienti sanno come aiutare l'organizzazione a “biforcarsi” verso nuovi e più utili attrattori.

Auto-organizzazione ed Emergenza

La prossima caratteristica dei sistemi non-lineari che esamineremo è la capacità di auto-organizzazione, che si riferisce a un processo che nasce e si sviluppa in maniera autonoma, piuttosto che a seguito dell’imposizione di forze esterne. Studi recenti sui sistemi auto-organizzati hanno mostrato come nuovi, inaspettati modelli e strutture emergono spontaneamente dall'interagire di componenti di un sistema non-lineare quando questo è posto nelle corrette condizioni di operare. Le nuove strutture emergenti sono caratterizzate da una maggior coordinazione e coerenza tra i componenti del sistema rispetto a precedenti “stati di equilibrio”. Tecnicamente, l'auto-organizzazione rappresenta l'emergenza di nuovi attrattori che danno forma al comportamento di un sistema.

Uno dei pionieri degli studi sull'auto-organizzazione, il premio Nobel Ilya Prigogine, ha messo in evidenza come la via attraverso la quale le nuove strutture che emergono nell'auto-organizzazione di un sistema sono parzialmente il risultato dell'amplificazione e dell'incorporazione di eventi casuali. Cioè, l'auto-organizzazione determina l'emergere delle nuove strutture attraverso l'uso vantaggioso degli accidenti e degli eventi inaspettati, proprietà che viene chiamata "serendipità" (serendipity), ovvero “l’arte di trovare ciò che non si cercava.”

Un fattore cruciale è la necessità di un contenitore del processo di auto-organizzazione. Un sistema che si sta auto-organizzando ha bisogno di essere un sistema integro, con dei precisi confini che lo imbrigliano, vale a dire le regole dell'interazione, le direttive che promanano dall'autorità e la coscienza dell'importanza del lavoro di gruppo all'interno dell'organizzazione. Ciò è particolarmente significativo perché siamo di fronte alla tendenza, in molte aziende moderne, a smantellare i tradizionali confini gerarchici. L'auto-organizzazione richiede invece sia dei confini ben chiari per tenere il sistema integro, sia dei modi per assicurare dei varchi in questi confini, per quello che il contatto vitale con l'ambiente richiede. E dipendenti e manager devono lavorare sempre insieme per stabilire nuovi confini.

Perciò, la teoria dei sistemi non-lineari mostra che i managers hanno due ruoli chiave: rafforzare i confini per proteggere l'integrità del sistema e contemporaneamente connettere i vari sottosistemi ad altri sottosistemi presenti sia all'interno che all'esterno dell'organizzazione. Recentemente, proprio per questo motivo, diverse compagnie hanno trovato utile portare i clienti all'interno dell'azienda e mandare i dipendenti fuori, sui mercati.

Di fatto processi di auto-organizzazione avvengono quotidianamente nella realtà. Si può affermare che la capacità di auto-organizzazione è innata e richiede solo condizioni appropriate per manifestarsi. Certe politiche o pratiche organizzative possono però impedire l'emergere del cambiamento auto-organizzativo, come ad esempio, un controllo burocratico troppo rigido, il non permettere che l'informazione affluisca a tutti i livelli, il tenere i dipartimenti o le varie funzioni isolate dal resto dell'organizzazione. La sfida cui deve far fronte il manager, a qualsiasi livello in un'azienda, è quella di sgombrare il terreno da quegli ostacoli che impediscono all'auto-organizzazione di prender piede.

Condizioni di Biforcazione o Lontane dall'Equilibrio

L'auto-organizzazione, in quanto emergenza di nuovi attrattori, può essere vista come un processo di biforcazione. Un altro modo per capire la biforcazione sta nel concetto di condizioni lontane dall'equilibrio, quelle condizioni che consentono ad un sistema di essere influenzato o cambiato da eventi piccoli e casuali. Le nuove strutture che emergono sono il risultato dell'amplificazione e dell'incorporazione degli eventi casuali.

Una situazione di equilibrio in un'azienda o in una istituzione può essere ritrovata nell'isolamento tra i dipartimenti, o tra le funzioni, o nei vari meccanismi di azione manageriale, inclusa la catena gerarchica del comando, i metodi di controllo, le strategie per la gestione degli scostamenti dalle previsioni, la pianificazione degli imprevisti, e così via. La condizione di non-equilibrio sorge quando accade un cambiamento o un'interferenza con le costrizioni e le rigidità imposte dall'equilibrio. Le rigide demarcazioni vengono attraversate, il sistema viene sfidato in modo tale che i precedenti meccanismi operativi, i processi e le configurazioni usuali non sono più sufficienti a far fronte alla nuova sfida. Quando un sistema organizzato o un’unità di lavoro è in contatto rispondente e vitale con altri sistemi o con l'ambiente , si può dire che è in una condizione lontana dall'equilibrio. In un ambiente di lavoro dove le costrizioni dell'equilibrio non dominano il sistema, le persone sono costantemente in auto-organizzazione all'interno del compito che il gruppo deve portare a termine.

Quindi il dovere dei leader è certamente quello di definire i compiti di un gruppo o di una struttura, ma anche di fare in modo che si stabiliscano le condizioni che facilitano i processi di auto-organizzazione.

Inoltre, poiché la condizione di lontananza dall'equilibrio si stabilisce quando l'informazione che circola in un sistema è alta, qualsiasi metodo che incrementi il flusso di informazioni può funzionare come catalizzatore. Questo include, ad esempio, azioni per incoraggiare i dipendenti a dar voce alle loro idee, percezioni o opinioni, invece che cercare di tenere tutto calmo il più a lungo possibile e mantenere il gruppo sotto la pressione della conformità.

Il fatto che l'auto-organizzazione sia, almeno in parte, il risultato dell'incorporazione delle deviazioni dal comportamento normato, significa che la funzione di controllo del manager, tesa a evitare distacchi dalla norma, deve essere rivista. I leaders di successo hanno sempre saputo far tesoro di qualsiasi cosa capiti, dagli incidenti ai cambiamenti nel mercato. Nei fatti, gli strateghi militari sanno che perdere una battaglia e ritirarsi possono essere mezzi per raggiungere l'obiettivo finale della vittoria.

Per finire: nella prospettiva dei sistemi non-lineari, come può una visione essere motivante se imposta dall’alto? Non avrà mai un reale impatto, eccetto magari sull’aumento delle resistenze dei dipendenti. Una “visione” può essere motivante solo se emerge dal gruppo. Compito dei manager non è quindi fare pressioni sui dipendenti perché seguano la “visione” dell'organizzazione, ma è quello di iniettarla poco alla volta come perturbazione nel sistema e fare in modo che diventi, se possibile, un attrattore.

Solo avendo presente questi riferimenti - novelli punti cardinali - e agendo in conformità ad essi, i manager possono rendere l'azienda o l'istituzione adatta alla sopravvivenza nell'ambiente cangiante, imprevedibile, globalizzato e…caotico del mondo d'oggi.

lunedì 2 novembre 2009

CAOS E MANAGEMENT - III

Alla fine del precedente post ci siamo chiesti che cosa hanno a che fare la teoria del caos e i sistemi non lineari con il lavoro dei manager. Le aziende e le istituzioni sono candidati ideali per i sistemi non-lineari poiché esse sono basate sulle complesse interazioni dei loro componenti: le persone, i materiali, le tecnologie. Quindi, le aziende e le istituzioni, in una ipotetica formalizzazione teorica, andrebbero descritte da equazioni non-lineari e, di conseguenza, mostrerebbero un comportamento congruente con ciò che stiamo apprendendo circa i sistemi non-lineari in generale.

Un aspetto cruciale di certe funzioni non-lineari è che esse mostrano la presenza di cosiddetti 'attrattori'. Questa sarà la caratteristica che noi ora prenderemo in considerazione, perché come concetto ci tornerà utile più avanti. Gli attrattori sono insiemi di punti, nell’ambito uno spazio matematico astratto, che modellano e descrivono il comportamento di un sistema per un periodo piuttosto lungo. Essi danno forma alla gamma dei possibili comportamenti di un sistema, tenuto conto delle condizioni che lo influenzano.

Un esempio molto semplice di attrattore è quello fornito da un bambino sull'altalena. Se il papà lo spinge una sola volta, l'altalena andrà avanti e indietro per un breve periodo di tempo e poi si fermerà nella posizione di partenza, che pertanto rappresenta un attrattore “a punto fermo”, perchè indica lo stato di arresto dell'altalena. Tuttavia, se il padre si mette a spingere l'altalena ogni volta che torna indietro ed il bambino manovra il suo corpo per darle un'ulteriore spinta, il comportamento dell'altalena sarà quello oscillatorio tra due punti chiamati “attrattore a ciclo limite'”.

Il comportamento oscillante dell'altalena è, naturalmente, causato dal modo con cui il padre la spinge e dall'inclinarsi avanti e indietro del figlio in modo appropriato. Sono questi fattori che fanno sì che l'originale attrattore a punto fermo dell'altalena (lo stato di arresto) si muova verso i nuovi attrattori a ciclo limite. Il passaggio da un attrattore ad un altro è chiamato biforcazione.

Un’altra considerazione da fare, prima di operare una sintesi e trarre delle conclusioni, è che tutti i managers affrontano i loro problemi a seconda di come essi concepiscono l’organizzazione. Una organizzazione può essere vista, per esempio, come una gerarchia di burocrati, come un organismo socio-culturale, o come un sistema basato sul potere. Dato che questi modelli non si escludono necessariamente a vicenda, un manager può lavorare, contemporaneamente o in tempi diversi e secondo le circostanze, utilizzandone più d'uno. Ma qualunque sia l’immagine, il comportamento e la pratica del manager saranno conseguenti ad essa.

Se un manager vede l’organizzazione come un sistema di potere, l'enfasi delle sue azioni sarà posta sulle manovre volte ad un aumento del potere proprio o del gruppo in cui opera.

La teoria del caos e quella dei sistemi non-lineari ci offrono un modello alternativo di organizzazione, un modello che, per molti aspetti, è migliore di quelli passati e fornisce importanti indicazioni su come i managers possano operare in modo più efficace.

L'immagine tradizionale e più diffusa dell’azione del management è classicamente basata su uno schema articolato in quattro punti, derivati da altrettanti presupposti:

1) Pianificare: azione basata sul presupposto che il futuro possa essere predetto accuratamente;

2) Organizzare: ai membri dell’organizzazione devono essere imposti compiti precisi.

3) Controllare: le deviazioni dalla norma e dalla pratica corrente devono essere ridotte;

4) Condurre: i leaders sono sempre 'esperti' e, concordemente, i loro obiettivi o 'visioni' sono sufficienti per la direzione e la motivazione dell'organizzazione.

Le scoperte nate dalla Teoria del Caos (la scrivo ora in maiuscolo in onore di Renè Thom, suo formulatore) demoliscono concettualmente certezze, tradizioni e prassi acquisite verso ciascuno degli assunti sopra elencati, tipici di un'immagine tradizionale dell'organizzazione. Le quattro tradizionali funzioni del management verranno confrontate e idealmente sostituite con altrettanti concetti derivati dai sistemi non-lineari:

1) Non-linearità

2) Attrattori e biforcazioni;

3) Auto-organizzazione ed emergenza;

4) Condizioni lontane dell'equilibrio.

Senza addentrarci nei formalismi matematici, nel prossimo articolo vedremo come tali concetti, tradotti in azioni, possano essere utilmente applicati nella conduzione di una organizzazione.
(segue)

sabato 31 ottobre 2009

La parabola dei due orologiai

È inevitabile, in quasi tutte le discipline di studio, che dopo aver esaurito gli aspetti generali e quelli introduttivi, e dovendo quindi entrare nel vivo delle questioni, si debba avere a che fare con tecnicismi e con riferimenti ad altre materie che non sempre si prestano alla divulgazione. Ne risultano articoli spesso astrusi, poco immediati o quantomeno noiosi. Però trattare di architettura della complessità o di strutture gerarchiche in modo semplice non è oggettivamente facile.

Chi ci ha provato è stato Herbert A. Simon, più noto per i suoi lavori sulla teoria delle decisioni e su quella delle gerarchie che come psicologo. La Teoria delle Gerarchie, dice Simon, “è un modo di guardare alla complessità di un sistema senza specificare i contenuti di quella complessità.”

Esempi di gerarchie, egli notava, sono le sostanze chimiche che, analizzate, si rivelano composte di molecole, e queste di atomi. Oppure gli organismi viventi, composti di organi e tessuti, poi di cellule e poi di macromolecole, da cui si passa alla gerarchia vista prima.

Per quale motivo tali strutture gerarchiche sono così predominanti in natura? Simon lo spiegava con la parabola dei due orologiai.

C’erano una volta due orologiai, Hora e Tempus, che fabbricavano dei gran bei orologi. Entrambi gli artigiani erano molto stimati, e il telefono nel loro laboratorio suonava frequentemente, dato che nuovi clienti li chiamavano. Ma mentre Hora prosperava, Tempus diventava sempre più povero, sinchè alla fine dovette chiudere il negozio. Quale ne fu la ragione?

Gli orologi che i due maestri producevano erano composti da circa mille parti ciascuno. Tempus però costruiva i suoi in maniera che, se doveva metterli giù quand’erano parzialmente assemblati per rispondere al telefono, andavano in pezzi e dovevano essere ricostruiti daccapo. Più i suoi orologi piacevano, più riceveva telefonate e meno riusciva a produrne.

Gli orologi di Hora non erano meno complessi, ma lui li aveva progettati in modo da comporre dei sub-assiemi iniziali di circa dieci elementi ciascuno. Dieci di questi sub-assiemi potevano essere montati per formare un sottoinsieme più grande, e un gruppo di dieci di questi formava un intero orologio. Quindi, quando Hora doveva tralasciare un orologio non ancora completo per rispondere al telefono, perdeva solo una piccola parte del suo lavoro: i sub-assiemi finiti non si decomponevano. Egli poteva così assemblare gli orologi in una frazione del tempo che occorreva a Tempus.

La morale è che le strutture gerarchiche evolvono molto più rapidamente dagli elementi costituenti di quanto possano farlo sistemi non-gerarchici con lo stesso numero di elementi.

“Alla fine”, diceva Simon, “anche la conoscenza scientifica è organizzata in livelli non perché la riduzione totale in principio sia impossibile, ma perché la natura è organizzata in livelli, e la configurazione a ciascun livello è più facilmente discernibile se si può prescindere dai dettagli dei livelli inferiori.”

CAOS E MANAGEMENT - II

Un sistema è deterministico se il suo stato futuro è unicamente determinato dal suo stato presente. Le leggi della dinamica, come l'equazione di Newton: F = ma, sono equazioni differenziali lineari, o "regole", che determinano univocamente il futuro una volta assegnato lo stato iniziale e allorchè si trova la loro soluzione. Così, ad esempio, attraverso la soluzione delle equazioni si può pensare di determinare l'orbita di un satellite, il giorno e l'ora della prossima eclissi di luna, oppure dire che tempo farà un certo giorno dell’anno venturo, ecc.
Il problema è che non siamo in grado di ottenere le soluzioni esatte, e quindi di fare previsioni, per tempi arbitrariamente lunghi. Il perché sta nel fatto che in una funzione o sistema lineare l'esito è proporzionale all'input o alle condizioni iniziali, mentre purtroppo nella maggior parte dei sistemi reali un piccolo cambiamento iniziale può portare a risultati molto diversi: i sistemi reali infatti non sono lineari.

Esaminiamo meglio allora i concetti di lineare e non-lineare. Una funzione lineare assume dei valori “in funzione di” una variabile indipendente. Tale relazione può essere in genere tracciata, sul piano delle coordinate cartesiane, da una linea. Pertanto si chiamerà non-lineare quella funzione che non può invece essere tracciata con una linea. Qualcuno ha fatto notare come questo modo di definire la non-linearità equivalga a chiamare tutti gli animali che non sono elefanti “non-pachidermi”. Il che non ci dice che cosa sono i “non-pachidermi”, ma solo quello che non sono. Abbiamo dunque bisogno di qualcos’altro per una comprensione più approfondita della non-linearità.

Si può dire che i sistemi non-lineari sono quelli in cui i componenti interagiscono continuamente tra loro. Questa mutua influenza causale porta allo strutturarsi di una relazione ciclica. Un esempio di non-linearità lo possiamo osservare nella relazione preda-predatore. Più predatori ci sono in una data zona, più prede saranno mangiate, e questo ridurrà la popolazione delle prede. Il calo delle prede provocherà un calo dei predatori, per fame e per la diminuzione delle nascite. Ma come il numero dei predatori si abbassa quello delle prede aumenta, poichè diminuisce la probabilità di essere mangiate e aumenta quella di giungere a riprodursi. E così via oscillando, in un delicato equilibrio. Un abbassamento sotto certi valori del numero delle prede comporterà però la scomparsa dei predatori. Sarà festa per le prede? In genere no, perché il loro numero aumenterà sino a danneggiare irreversibilmente l’ecosistema nel quale vivono, e questo causerà la loro fine…

In effetti, una delle maggiori conquiste della dinamica moderna è l'aver compreso che sistemi anche apparentemente molto semplici possono avere soluzioni talmente complicate da apparire del tutto casuali. Il primo a rivelare questo fatto fu il grande matematico e filosofo Henri Poincaré nei suoi studi di meccanica celeste. Tuttavia solo l'avvento dei moderni calcolatori ha consentito di coglierne appieno la rilevanza e le implicazioni.

Il concetto fondamentale della teoria del caos è dunque la non-linearità. Questa è universalmente definita come la non proporzionalità tra la perturbazione introdotta in un sistema ed il cambiamento indotto nel sistema, ossia tra causa ed effetto. I suoi corollari sono: la dipendenza sensibile alle condizioni iniziali, il concetto di attrattore e la geometria frattale. L’impatto applicativo che ne è conseguito è stato enorme: le nuove scienze sono tutte basate sullo spostamento dalla matematica 'lineare' a quella 'non-lineare'. Prima della scoperta del caos deterministico, e cioè fino agli inizi degli anni '70 del secolo scorso, i testi scientifici di meccanica classica trattavano solamente i cosiddetti sistemi integrabili, cioè quei sistemi che si potevano "integrare" o, in altre parole, risolvere. Ciò che si è capito attraverso gli studi degli ultimi 30 anni è che, con il crescere della perturbazione, il moto regolare dei sistemi integrabili diventa totalmente caotico ed imprevedibile nel senso spiegato sopra. Da qui, ad esempio, l'impossibilità di previsioni meteorologiche se non a breve termine. Le condizioni del tempo a Padova tra un anno saranno certamente determinate dallo stato presente, ma il battito delle ali di una farfalla nelle foresta tropicale, in questo momento, può alterarle in modo decisivo. Ciò equivale a dire che "di fatto" il tempo meteorologico non è predicibile.

Anche la finanza e l'economia, come d’altronde la politica, sono sistemi complessi, e anche in questi campi non è possibile fare previsioni. Perciò decisioni apparentemente corrette sono spesso destinate a fallire. Ma allora, oltre che a rendere esplicite le difficoltà di previsione, di quale utilità può essere lo studio del "caos"?

Osserviamo che, se da un lato è vero che sovente non siamo in grado di predire l'evoluzione di un determinato fenomeno, dall'altro lo studio del caos ci permette di conoscere in quali condizioni il sistema si comporterà in un dato modo. Queste informazioni sono spesso molto più importanti che non la conoscenza esatta della evoluzione futura del sistema.

Solo più recentemente queste teorie sono state applicate alle aziende, alle istituzioni e ad altre organizzazioni del mondo del lavoro. La questione chiave è: come possono concetti innovativi che hanno avuto origine dalla matematica e dalle scienze fisiche essere rilevanti per la realtà che quotidianamente i managers devono affrontare, una realtà dove i risultati concreti sono il giudizio finale del successo? Lo vedremo nel prossimo post.
(segue)

giovedì 29 ottobre 2009

Managers sui carboni ardenti

Davanti a voi si stende un tappeto di carboni ardenti. La temperatura è sui 400 gradi, forse di più. Vi sovviene che a “soli” 100 gradi l’acqua bolle (e scotta), quindi 400 sono dannatamente tanti: c’è proprio da bruciarsi.
D’altra parte, vi è stato detto che dopo l’appropriato training che avete seguito dovreste essere in grado di far ricorso ai poteri nascosti della psiche, vincere il calore e camminare a piedi nudi sul letto di carboni senza danni: sarà semplicemente il prevalere della mente sulla materia.

Però intanto, di fronte alle braci, il calore vi costringe a fare un passo indietro. In qualche film avete visto abitanti di isole remote camminare su rivoli di lava vulcanica incandescente come parte di un cerimoniale di iniziazione. Si sono allenati duramente per acquisire il potere sul fuoco. Ma anche voi l’avete fatto, certo. E dopo il seminario sulle risorse interne "celate" e con tanta gente esaltata attorno che vi incita, tutto vi sembra possibile. Vi sentite così caricati: se solo poteste attingere a quelle capacità occulte… Un respiro a fondo e di colpo vi trovate a camminare sui carboni. State mettendo in pratica quello che vi è stato insegnato. Siete immersi nel calore, percepite i sassi ardenti sotto i vostri piedi e l’entusiasmo e le grida di quelli ai lati della pista di fuoco. Anelate anche voi all’applauso che ha salutato quelli che già ce l’hanno fatta. Alcuni no, sono tornati indietro. Ma voi potete riuscirci, siete convinti che ce la farete. E ce la fate, arrivate in fondo! L’esultanza è grande, il senso di liberazione altrettanto. Ora non avete più paura di niente e di nessuno. Lunedì affronterete il vostro capo per quella questione. Aumento di stipendio, promozione, nuovo lavoro. E poi: altri progetti di vita, nuovi amori… Tutto è ora alla vostra portata. Quelli per il corso sono stati soldi davvero spesi bene.

Immaginiamoci ora un altro scenario, un pochino più terra-terra ma a buon mercato e meno rischioso. Avete messo la pizza semipronta a riscaldare nel forno, a 180 gradi. Aprite il portellone e avvertite il calore sul viso. Metterete la mano dentro il forno? Sì, senza problemi. Tasterete la pizza per sentire se è calda al punto giusto? Sì, lo farete. Toccherete il vassoio di metallo? Ve ne guarderete bene. Eppure l’aria nel forno, la pizza e il vassoio sono tutti alla stessa temperatura.

La chiave per capire il trucco – perché di trucco si tratta – è la differenza tra temperatura e calore. Il calore è l’energia che può bruciarvi, ma solo quando ne è stata trasferita abbastanza sulle vostre dita (o sulle palme dei vostri piedi). I carboni e le rocce laviche sono scadenti conduttori di calore, e l’aria è decisamente peggio. I metalli invece sono migliaia di volte più adatti quanto a capacità di trasferire calore da un posto all’altro. Ancor più importante è la quantità di calore contenuto in un dato materiale. Il carbone di legna ne può immagazzinare relativamente poco, i metalli moltissimo.

Il nostro corpo è costituito per la maggior parte d’acqua, sicchè possiede una buona capacità termica. Quindi occorre che sia trasferita una notevole quantità di calore prima che cominci a bruciare.

Cosa vi dicevano al corso? Di camminare rapidamente, ma senza correre, lungo i quattro metri della corsia di tizzoni. Quante volte ha calpestato ciascun piede il suolo caldo? Due, forse tre, per meno di un secondo ognuna. Non abbastanza per bruciarsi. Certamente del calore è fluito verso i piedi. Ma dato che i carboni sono cattivi conduttori di calore, l’area di contatto si è raffreddata. Prova ne sia che per un po’ sono rimaste le impronte sul percorso.

C’è un ulteriore trucco che entra in gioco: quello che metteva in pratica la nonna quando si leccava la punta delle dita per toccare il ferro da stiro caldo. Lo stesso gesto che si fa prima di pizzicare lo stoppino di una candela accesa. La saliva evapora e per un istante fornisce un sottile strato protettivo per la pelle.

Di fronte al letto di carboni accesi, è facile sudare per il caldo e per la paura. Per essere sicuri che le piante dei piedi saranno umide, gli organizzatori dei “workshop di firewalking” tengono spesso la prova sulla battigia, o sull’erba (umida) di un prato di sera.
Non che sia necessario, però non si sa mai... Le cose possono mettersi male, soprattutto quando la striscia di carboni non è preparata adeguatamente. La mente può sopravanzare la materia solo quando la scienza l’ha fatto prima. Qualche anno fa, una trentina di managers della ****** ***** ****** (una catena di fast food americana che vende pollo fritto e patatine) si sono ustionati i piedi abbastanza seriamente, divenendo lo zimbello dei giornali, che hanno titolato: “Vi piacerebbero patatine fritte come queste?”. Può succedere, se i carboni non sono di materiale a bassa capacità e bassa conducibilità termica.

Se però tutto è stato organizzato con criterio, sorridete per la videocamera, cercate di sudare un poco e passeggiate tranquilli.

mercoledì 28 ottobre 2009

La strategia del caso

Vi propongo un gioco che si pratica perlopiù negli asili infantili. No, il mio non è un malaugurato caso di regressione: datemi un poco di credito e vedrete quanto c’è da imparare dall’analisi di questo semplice svago.
Ho una piccola biglia, che chiudo dentro la mano destra o quella sinistra nascoste dietro la schiena. Poi mostro le mani chiuse a pugno al mio antagonista, chedendogli di indovinare in quale mano è nascosta la biglia. Ripetiamo la procedura un certo numero di volte, prendendo nota dei risultati. Infine contiamo quante volte il mio avversario ha vinto o perso. Poi saldiamo il conto, in caramelle, biglie, danaro, birra o altro. Questo è il gioco.

E’ ovvio che ognuno cerchi di vincere, mettendo in atto ogni possibile astuzia per avere la meglio. Se io tengo la biglia sempre nella stessa mano, il mio avversario se ne accorgerà ben presto e vincerà. Ma dato che è estremamente astuto, finirà per capire qualsiasi strategia da me applicata. Ciò significa che il mio avversario vincerà sempre? No. Se io tengo la biglia a caso, e se le mie scelte successive sono indipendenti, il mio avversario farà una scelta corretta circa una volta su due, e in media non guadagnerà né perderà. Il che può essere un risultato accettabile, in vista magari della possibilità di portare lo scontro su un terreno – pardòn, su un gioco a noi più favorevole.

Resta da stabilire, ovviamente, cosa vuol dire mettere una biglia a caso, e cosa significhi fare scelte indipendenti: ma qui le cose si complicano parecchio. Nondimeno i bambini, ignari di tutto ciò, continuano a fare questo gioco.
Rimanendo quindi ad un livello intuitivo, possiamo osservare che l'utilità di un comportamento aleatorio in certi giochi o situazioni di conflitto è importante tanto dal punto di vista pratico quanto da quello filosofico. Evidentemente è utile reagire in modo prevedibile quando si coopera con qualcuno, ma in una situazione competitiva un comportamento aleatorio e imprevedibile può essere la strategia migliore.

Nella vita di tutti i giorni troviamo numerosi esempi in cui il nostro capo, un nostro congiunto o il nostro governo tentano di manipolarci. Essi ci propongono un gioco sotto forma di una scelta fra varie possibilità, di cui una appare chiaramente preferibile. Noi la scegliamo, dopo di che ci viene proposto un nuovo gioco, e così di seguito. Abbastanza rapidamente, da una scelta razionale all’altra, ci troviamo in trappola. Per evitare questa conclusione, è bene ricordarsi di agire ogni tanto un po' a caso, in modo variabile e imprevedibile: ciò che si perde in fatto di scelte ottimali lo si guadagna largamente conservando più libertà.

I capi politici e militari di un tempo introducevano nelle loro decisioni un elemento aleatorio consultando oracoli. E’ ovvio che una fede cieca negli oracoli è molto stupida e conduce abbastanza facilmente a conseguenze disastrose. Ma l’abile uso dell’imprevedibilità oracolare a opera di un capo intelligente può essere un buon modo per realizzare una strategia ottimale.

Caos e Management - I

Il titolo di questo primo di una breve serie di post è (volutamente) fuorviante. A prima vista infatti esso evoca una contrapposizione: quella fra caos - come sinonimo di disordine - e management, vocabolo associato a organizzazione, a pianificazione, a gestione razionale di mezzi e risorse per il conseguimento di determinati obbiettivi e, in sostanza, a ordine. Per me, che ero un fisico prima di diventare "manager" (bella carriera...), la parola caos ha invece un significato ben preciso, diverso dall’accezione comune e per certi aspetti addirittura contrario. Sicchè nel titolo non vi è in realtà alcuna contrapposizione, bensì sono sintetizzate una constatazione e una presa di posizione. Vi chiederete quale sia allora, come fisico-manager, il mio modo di intendere il rapporto tra caos e management? Beh, se l‘argomento vi interessa, credo che la risposta vi sorprenderà parecchio. Le regole del moderno management (che non sono state certo formulate da me, ma che io ho fatto mie) non sono “direttive contro il caos”, ma piuttosto una conseguenza del concetto di caos.

E’ necessario pertanto e innanzitutto chiarire tale concetto. Per farlo compirò un breve escursus dai primordi dell’umanità alla meccanica quantistica, dopo aver chiesto venia a filosofi, scienziati e anche a manager per la velocità con cui sorvolerò temi e argomenti complessi, a volte oggettivamente difficili, certamente degni di miglior trattazione, e per tutte le licenze che mi prenderò. Ma procediamo con…ordine.

Il problema della relazione tra leggi, ordine e caos ha origini molto antiche. E' noto infatti che l'uomo primitivo percepiva il mondo come totalmente caotico. Successivamente, l'osservazione della regolarità del moto del sole, dei pianeti, del succedersi delle stagioni, ecc., ha introdotto le nozioni di predicibilità e di ordine.

Platone affermava infatti che il mondo è opera di un essere divino, che ha tratto ordine dal disordine. Noi intuiamo l’ordine nelle forme del mondo e lo ritroviamo con evidenza nelle regole e nelle proporzioni geometriche. Compito della scienza è in pratica scoprire i rapporti geometrici sottesi a ciò che esiste e a ciò che accade nell’universo.

Anche secondo Galileo il grande libro dell'universo era scritto in linguaggio matematico, i cui caratteri erano triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza l’ausilio delle quali ci saremmo perduti in un labirinto privo di uscita.

Duemila anni dopo Platone, Pierre de Laplace sottolineava il carattere deterministico della meccanica di Newton: potendo conoscere in un dato momento lo stato di tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli elementi e degli esseri che la compongono, l'avvenire ne sarebbe risultato definito in modo univoco e perciò manifesto.

Questa posizione riassumeva lo spirito e l'entusiasmo di un’epoca che ha visto il trionfo della meccanica, la scoperta delle macchine termiche, la rivoluzione industriale. Essa poneva una grande fiducia nell'uomo e nelle sue possibilità e testimoniava la convinzione illuministica che egli fosse in grado, almeno in linea di principio, di prevedere l'evoluzione e di controllare lo sviluppo degli accadimenti futuri.

Il secolo scorso è stato testimone di altre due formidabili scoperte: la meccanica dei quanti, che consente di indagare sui fenomeni del mondo atomico e sub-atomico, e la teoria della relatività. Queste entusiasmanti conquiste, se da un lato sono apparse come ulteriori conferme della fiducia illuministica nell’uomo, dall’altro hanno però imposto alcune riflessioni ed evidenziato severe limitazioni circa la capacità di conoscere e dominare gli eventi dell’universo che ci circonda.

Le scoperte degli ultimi trent'anni hanno gettato ombre su quel quadro ottimistico e hanno minato alle fondamenta un'illusione che durava da più di tre secoli. L'evento principale, che è ormai da molti considerato come la terza grande rivoluzione scientifica del ‘900, è la scoperta del “caos deterministico”. Se questo accostamento di termini pare un ossimoro, ciò è dovuto alle barriere psicologiche createsi nei molti secoli durante i quali – quasi per tradizione – determinismo e caos sono stati considerati concetti antitetici.

Vedremo in seguito, pur senza entrare nei dettagli, come la teoria del caos abbandoni molti dei sogni deterministici cullati fin dai tempi di Newton, senza tuttavia rinunciare a comprendere la Natura. Essa si propone di superare il conflitto tra la predicibilità deterministica e i comportamenti imprevedibili frequentemente osservati in Natura, negli esperimenti di laboratorio e in tutti i sistemi formati da elementi in costante mutua interazione.

A parte le implicazioni filosofiche, si esce dal dominio della fisica per invadere quello di altre discipline: biologia, economia, medicina, scienze sociali e, per quello che qui ci riguarda, il modo di governare aziende e isitituzioni, ossia le tecniche di management.
(segue)

martedì 13 ottobre 2009

Delle ragioni - Prima parte (di non so quante)

Dato che sono stato accusato di deriva anarcoide ancor prima di aver terminato di postare il nostro Manifesto, faccio un passo o due indietro e vado ad elencare i motivi per i quali ci troviamo nella situazione in cui stiamo. Sono certo che vi sorprenderò un poco. Se infatti scrivessi cose tritamente banali o poco originali, perchè dovreste prendervi la briga di seguire questo blog?
Vi basterebbe leggere i giornali. E d'altra parte, chi dovrebbe fornire tali ragioni? Gli economisti, forse? Quelli dovrebbero avere il buon gusto di non ricomparire prima di qualche anno, e comunque dopo una plastica facciale.
Bene, comincio.
Il primo colossale e devastante errore l'ha commesso l'occidente moderno (che ormai ha perso la maiuscola) quando, in virtù di una pelosissima posizione idealista e ideologica, ha permesso che la conoscenza scientifica fosse accessibile a tutti. Questa posizione tragicamente infelice nei confronti della Scienza poteva trovare qualche giustificazione quando la ricerca scientifica era tutto sommato un diletto di pochi e per pochi, ovvero quando la si poteva considerare una deriva o una degenerazione in ambito "naturale" della "vera" filosofia, quella teologico / speculativa.
Quando invece la conoscenza e le ricadute del pensiero e del metodo scientifico sono diventate tecnologia, quindi industria, quindi economia, quindi finanza e quindi fattori competitivi e strategici, quella posizione "aperta", anzi sbracata, si sarebbe dovuta quantomeno rivedere.
La conoscenza tecnologica è un patrimonio e la ricerca scientifica un investimento impegnativo ma tra i più redditizi (e, lasciatemi aggiungere, tra i più nobili). Perchè quindi dei frutti di questo patrimonio e di questo investimento ne hanno goduto tutti, anche coloro che non avevano nessun merito e nessun titolo? Il know-how scientifico-tecnologico è un prodotto (o un servizio, se preferite) come gli altri e anzi meglio di tutti gli altri, che costa soldi e fatica. Quindi dovrebbe assolutamente essere un pregiato oggetto di scambio. Invece l'abbiamo graziosamente regalato, come se non costasse e non valesse niente. E ciò, oltretutto, ha contribuito in maniera determinante a svilire la ricerca, soprattutto in Italia. Chi bada alle cose "concrete" non fa e non si occupa di ricerca (a meno di essere un barone universitario, che invece si occupa volentieri di ricerca, ma per altri scopi).
Tanto per essere chiari: perchè per anni abbiamo fatto a gara per esportare tecnologie (oltre che investire capitali) in Cina? Perchè nelle nostre università (non tanto nelle nostre, a dire il vero, quanto in quelle americane) abbiamo sempre ospitato studenti cinesi? In nome di che cosa? Con quale contropartita?
Ve lo dico io: coi bassi costi della manodopera offerta, che di fatto è brutale schiavismo, e soprattutto col miraggio, artatamente fatto balenare, dell'accesso al mercato interno cinese. Sappiamo bene purtroppo come sono andate invece le cose. I cinesi hanno usato e stanno usando questi (e altri) fattori contro di noi. Tutta la tecnologia che posseggono è nostra, ma la stanno usando a loro esclusivo vantaggio.
Sono certissimo che quando saranno in grado di sviluppare una loro tecnologia, ai cinesi non gli passerà neanche per la testa di ricambiarci il favore. Difficilmente, per esempio, nostri studenti potranno laurearsi presso i loro centri di ricerca. Ciò che avrà qualche valore sarà considerato strategico, quindi precluso a noi. Se lo terranno per loro, a loro maggior vantaggio su di noi, noi poveri fessi rimbecilliti dalla più perversa, ipocrita, diabolica, gangrenosa e mortale ideologia: quella che "tutti gli uomini sono uguali" e "tutti gli uomini sono fratelli". Vedremo quanto saremo uguali e quanto saremo fratelli quando comanderanno loro.
Coloro che si scandalizzano per quello che affermo vanno annoverati tra gli artefici e i complici della situazione odierna, che vede alla ribalta una nazione che ha saputo trarre vantaggio da un indicibile cinismo e da una spregiudicata furbizia, dalla violenza, dallo spionaggio, dal totale spregio della nostra etica, della nostra morale, delle nostre leggi, nonchè dei diritti umani e dell'ambiente.
(Se questo comportamento vi ricorda quello di qualche altro popolo / qualche altra nazione, beh, non ci sono solo i cinesi a volerci bene).
Il Governo della Serenissima metteva a morte chi divulgava ai "foresti" i segreti della lavorazione del vetro. Col senno di poi, quella era una posizione assolutamente saggia, lungimirante, giusta e giustificata.
Tornando a noi, solo la ricerca scientifica potrà farci uscire da questa crisi e farci riprendere quel vantaggio competitivo che ora ci è necessario per non soccombere. Tutto il resto sono palle. Ovviamente il modello organizzativo delle nostre università, come pure quello delle nostre aziende (e non solo, come potete immaginare) dovrà essere completamente ribaltato.

Questo argomento sarà oggetto di un prossimo post. Nel frattempo attendo commenti.


venerdì 9 ottobre 2009

Manifesto



Chi siamo

Siamo un gruppo di managers che hanno creato questo weblog come luogo virtuale d'incontro. Ci accomuna la constatazione del completo fallimento del modello economico produttivo (in primis) e sociale (di riflesso) del nostro cosiddetto mondo occidentale, e di quello basato sulla piccola impresa in particolare.

Poichè comunque siamo e restiamo managers, abbiamo preso atto e coscienza della situazione, e cerchiamo di proporre e di attuare delle soluzioni. Le quali non saranno perciò tese al ripristino del vecchio modello, con il quale non siamo definitivamente più in sintonia, ma al suo superamento creativo.

"Creativity arises when individuals are out of sync with their environment."

Noi siamo delle persone MOLTO fuori sincronia e sintonia col proprio ambiente, inteso come azienda o società e, per estensione, come Società. Perciò siamo MOLTO creativi.

Questo è il nostro Manifesto.

Noi riconosciamo che il modello economico-sociale basato sulla libera iniziativa imprenditoriale è fallito, così come precedentemente è fallito il modello socialista. Non intendiamo qui dilungarci a spiegare il come e il perchè di una situazione la cui drammaticità è evidente per chi ha gli occhi un po' allenati. Per due motivi: il primo è che un'analisi in materia costituirebbe un inutile spreco di tempo. L'analisi l'abbiamo già condotta nel corso delle nostre rispettive carriere professionali, traendone la relativa sintesi. Secondo: per quanto argomentata e provata, ogni tesi troverebbe sempre critici e saccenti commentatori di professione pronti a dimostrarci (a chiacchere) che abbiamo torto.
Quindi chiariamo subito: noi non intendiamo raccogliere il consenso di nessuno che non sia già, magari implicitamente, d'accordo con noi. Costoro infatti riconosceranno immediatamente la misura e la portata delle nostre ragioni, e alcuni vorranno aderire al Movimento che intendiamo creare. Gli altri, managers o no, continuino pure per la loro strada, se ne hanno una.

Noi - in sintesi - rivendichiamo il diritto di affrancarci intellettualmente e operativamente dall'attuale modello economico e di proporne un altro in sostituzione.
(Segue)